La scorsa settimana sono stata invitata in un nido, inaugurato solamente pochi mesi fa, per fare quattro chiacchiere con un coraggioso gruppo di genitori ed educatrici desiderosi di confrontarsi sulla crescita dei bambini. Definisco queste persone “coraggiose”, perché non è per nulla facile essere disposti a mettersi in discussione, aprirsi al dialogo e raccontare di sé e delle proprie abitudini famigliari. Le famiglie che ho incontrato in questi anni, in realtà, mi hanno sempre manifestato un grande desiderio di condivisione e la speranza di vivere momenti in cui potersi fermare e riconoscere il proprio modo di essere genitori.
Certo, oltre al desiderio, vi sono diverse difficoltà nel concedersi quello spazio. In primo luogo non è semplice ritagliarsi momenti di tranquillità nella frenesia delle nostre giornate ma, soprattutto, è ancor meno facile avere relazioni in cui è possibile aprirsi senza essere invasi da miriadi di consigli non richiesti, avvertimenti allarmanti o, ancor peggio, pungenti giudizi sul proprio modo di essere genitori.
Purtroppo è proprio così, le questioni legate alla crescita e alla genitorialità sono, ahimè, con grande frequenza, temi nei confronti dei quali professionisti, amici o anche familiari si assumono il compito, non richiesto, di insegnare il delicato mestiere genitoriale. Questo non solo getta nello sconforto chi, in realtà, avrebbe spesso solo tanto bisogno di essere sostenuto e rassicurato nel faticoso compito di essere genitore ma, come se non bastasse, alimenta un profondo senso di insicurezza personale. Già, perché il desiderio di essere un buon genitore si manifesta proprio nell’essere colmo di dubbi, ma anche nella speranza di essere e sentirsi competente in quel modo unico e personale di essere padre o madre.
La necessità e il desiderio di confrontarsi è palese ma ciò che concretamente si colleziona, sono interazioni in cui si accumula un elenco cospicuo di comportamenti da “non assumere assolutamente” perché “profondamente diseducativi” e “potenzialmente dannosi” per la crescita. Insomma tanti che illustrano ai genitori cosa non fare, tanti che spiegano cosa fare in maniera astratta e infine, forse i più nocivi, altri che forniscono il loro sostegno fornendo un elenco minuzioso degli errori che hanno riscontrato nei tuoi comportamenti. E con tutti questi presupposti come fare ad avere voglia di confrontarsi con un “esperto” di psicologia infantile che non conosci e che viene nel nido dove porti, da pochi mesi, tuo figlio? Ecco prima di tutto, per quanto mi riguarda, ci vuole coraggio. Molto! Quello che, qualche giorno fa, ho trovato in quel gruppo di genitori ed educatrici che, davanti ad un tè caldo e qualche biscottino al cioccolato, ha saputo, nonostante le inevitabili resistenze iniziali, accogliere quell’incontro come sana occasione di confronto.
In quelle due ore ci sono stati interventi liberi, racconti di esperienze reali e, tutt’attorno, sguardi privi di giudizio. Non vi è stato bisogno di trovare “verità universali”, regole da seguire, ma solo voglia di gustarsi quello spazio in cui parlare di crescita, di amore e di vita in tutte le sue manifestazioni e sfumature soggettive. Lì ho trovato umanità, accoglienza per le inevitabili fatiche che tutti i giorni si affrontano. Quello è stato il vero sostegno reciproco, prodotto essenzialmente dall’ascolto confortevole, dalla libertà di commuoversi insieme e da un pizzico di sana ironia. In due parole ho sentito fiducia e condivisione, caratteristiche che questi straordinari genitori ed educatori hanno scelto di portare, non solo nel nostro incontro, ma anche nella loro vita e, ancor più importante, in quella dei loro bambini.
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